E’ una domanda che mi è stata posta molte volte ed effettivamente, ai miei esordi, me la sono posta anch’io: perché dovrei acquistare un dispositivo che può essere anche molto costoso per cucinare qualcosa che, tutto sommato, potrei cucinare in padella o in forno? Il dubbio è legittimo, la risposta potrebbe non essere esaustiva se data da qualcuno che non ha una profonda consapevolezza delle immense, praticamente infinite potenzialità della gastronomia outdoor. Proprio per questo motivo ho deciso di svelarvi i tre elementi che è possibile controllare per ottenere il massimo beneficio dalla cottura sul fuoco vivo.

Ma prima, è necessario farsi delle domande: vogliamo ottenere il massimo dal nostro grill o ci basta tirare due salsicce, una pannocchia e tre costolette d’abbacchio sulla griglia e aspettare che siano cotte? Vogliamo selezionare, cucinare e servire il cibo nel migliore modo possibile, o ci basta una leccarda d’alluminio monouso su cui ammucchiare la carne mezza bruciacchiata e chi se ne frega?

Se la risposta è no, potete concludere il vostro viaggio. Non avete alcuna necessità di acquistare un dispositivo di cottura idoneo o di applicare con devozione e pazienza tutte le tecniche del caso. Potete tranquillamente continuare ad alimentare il paleo sistema italiano e attendere che l’evoluzione organica faccia il suo corso. Com’è avvenuto negli Stati Uniti e in Giappone, per esempio.

Se non riuscite a non strappare di mano la pinza ai bucasalsicce, state per risolvere una delle tantissime faccende spinose (forse la più complessa) che i fuochisti in erba italiani si trovano, tutte le volte, a dover affrontare. Per non parlare dell’inevitabile carico di frustrazione quando non arrivano i risultati. Oggi potrete permettervi il lusso di evitare gli errori. Non dovrete sperimentare, cercare risposte o capire cosa sta succedendo. Vi basterà soltanto applicare ciò che sto per dirvi, prendere la macchina del tempo e sorvolare tutti i tentativi a vuoto a cui obbligatoriamente andrete incontro per arrivare nel futuro: il giorno in cui sarete dei griller acclamati e adorati dai compagni di merende. Siete pronti ad aprire il vaso di pandora? Partiamo.

Vi dirò subito quali sono i tre mantra del barbecue ma non prima di una brevissima premessa. Dovete imprimervi nelle sinapsi questi tre elementi, non tralasciarli mai.

Se applicati alla perfezione, se controllati con rigore, vi consentiranno di ottenere, tutte le volte, risultati che saranno niente di meno che perfetti.

I fondamentali della cottura alla griglia

Sono tre che possiamo conseguire agendo sulla manopola di tre elementi. Provate, riuscite e poi sentitevi liberi di fare le pulci al mondo perché ve lo potete permettere, perché il sapere è dalla vostra.

Spalancate le palpebre leggete e idealmente, ingoiate e metabolizzate le parole che sto per scrivervi:

  1. Crusty=>Fuoco
  2. Juicy=>Acqua
  3. Smoky=>Aria

Significano crosta, succulenza e aroma di affumicato. Sono i tre obiettivi imprescindibili del Grilling di alto livello, quelli che non siamo disposti a non ottenere, quelli che dividono il successo dal grandissimo successo.
Vediamo adesso come ottenerli e come controllare gli elementi in grado di produrli.

Crusty=Reazioni di Maillard=Fuoco

Che siano bistecche, petti di pollo, spiedini, hamburger ma anche tranci di tonno o di spada, calamari e seppie, una delle tre caratteristiche del risultato perfetto prevede una consistente superficie cauterizzata. Se non abbiamo superfici cauterizzate -e non mi riferisco solo alle righe che sono un plus importante ma anche alla completa cauterizzazione superficiale- non abbiamo la necessità di cuocere sul grill, non stiamo facendo grilling, stiamo semplicemente cucinando all’aria aperta. Fine.

Vi ricordate la mamma quando ci diceva di “Non scherzare col fuoco“? Da grandi ne abbiamo capito il senso, da Griller ne riconosciamo il timore reverenziale. Il fuoco è uno degli elementi fondamentali il cui controllo ci permette di veicolare il risultato. Ricordate questa: il controllo del fuoco, per i nostri scopi, consiste nel dosare la quantità di energia che ci serve per una determinata cottura. Ricordate che per stabilire la quantità di energia che ci serve, dobbiamo anche valutare la presenza degli altri due elementi.

Lo abbiamo detto molte volte, e lo ripetiamo. La reazione di maillard è responsabile non solo del colore scuro di quasi tutti gli alimenti arrostiti in forno, grigliati o fritti, ma anche e soprattutto del profumo e del sapore, estremamente intenso, di queste molecole prodotte dagli aminoacidi e da particolari zuccheri che reagiscono al calore. Questi aminoacidi e questi zuccheri sono chiaramente molto diversi a seconda del tipo di alimento. Motivo per cui -pur avendo in comune questo strato superficiale di nuove molecole molto profumate e intense- l’odore del pane è diverso da quello del pollo arrosto, che è diverso da quello del pesce fritto. Il punto fondamentale è che maggiore è la produzione di queste molecole, tanto più intenso sarà il gusto finale.

Come sappiamo, le reazioni di Maillard non si verificano sempre, ma solo a determinate condizioni. Non ci può essere reazione di Maillard se non si verificano, contemporaneamente, le seguenti:

  1. Temperature comprese tra 150°C e 190°C
  2. Assenza di umidità.
  3. Presenza di zuccheri riducenti.(o pH alcalino, ma tutti i cibi ne hanno di solito a sufficienza, anche se alcuni più di altri)

Creare quindi il terreno che generi la reazione di Maillard è un’operazione che da questo momento in poi non potrà più essere opzionale. La modalità per ottenerla è semplice ed è questa:

  1. Avere abbastanza fuoco da generare quelle temperature.
  2. Disidratare con perizia maniacale la superficie di ogni tipo di alimento che vogliamo cauterizzare.
  3. Ungere la superficie per favorire l’azione del calore, per veicolare subito la temperatura prevista.

A questo punto dovrebbe anche essere chiaro il motivo per cui il pollo arrosto non ha lo stesso sapore della gallina bollita, vero?

Riassuntino al volo: per generare una corretta reazione di cauterizzazione, avremo sempre bisogno di temperature pari o superiori ai 140°C e totale assenza di umidità.

Juicy= Gelatina/Liquidi=Acqua

Un altro parametro di cui bisogna sbarazzarsi è “lo lascio sulla griglia finché è cotto“. Carne cotta non è (e non deve essere) sinonimo di carne asciutta, secca e stoppacciosa. La permanenza sul calore elevato deve servire principalmente a generare la reazione di maillard. Dev’essere quindi un processo che deve avvenire ad alta temperatura ma in tempi molto brevi. Anche questo l’abbiamo già detto: somministrare calore intenso significa far contrarre le fibre che, tramite l’effetto “spugna”, strizzano fuori i liquidi interni. Maggiore il tempo di permanenza, maggiore quindi la contrazione, minore la succulenza.

Cominciamo quindi a capire che è necessario differenziare il tipo di somministrazione di calore a seconda del risultato che dobbiamo ottenere, che esiste un altro parametro che dobbiamo saper controllare: l’umidità.

La regola di base è  che per far avvenire la reazione di Maillard, ho bisogno di calore elevato, di un ambiente privo di umidità e di tempi brevissimi. Se devo invece sciogliere il collagene in gelatina (cuocere quindi), ho bisogno di calore moderato (per evitare di strizzare la carne e perdere liquidi) , una buona quantità di umidità necessaria al processo di scioglimento del tessuto connettivo ma, soprattutto, ho bisogno di tempi più lunghi perché il processo avvenga. Ecco che a volte potrebbe materializzarsi la necessità di avere due “momenti” di cottura, con caratteristiche diverse ma che mi permettano di arrivare al risultato perfetto.

Facciamo un esempio pratico che stravolge ogni regola conosciuta. Tutti, o quasi tutti, per cuocere una fiorentina hanno deciso che bastano 5 minuti prima da un lato, 5 poi dall’altro e infine 15 in piedi sull’osso. Ma è davvero questo il modo migliore di cuocere una bistecca? No.

Se vi dicessi che una fiorentina cotta alla perfezione, interno rosa e succoso, esterno scuro, ben cauterizzato, non potrebbe essere pronta prima di 45/50 minuti, mi credereste? Eppure non esiste metodo migliore, mi spiace per i puristi e per la loro lesa maestà.

La fiorentina perfetta si cuoce prima in cottura indiretta, in piedi, in una camera di cottura che sia ad una temperatura non superiore ai 110°C, fino a quando il calore riesce a penetrare scaldandola uniformemente ai 40~45°C al cuore. Questo processo avviene molto lentamente e sicuramente per tempi lunghi che non so quantificarvi con esattezza, ma sicuramente non inferiori alla mezz’ora. La temperatura bassa limita, e di parecchio, l’effetto spugna, lasciando la carne estremamente succosa, scaldandola in modo uniforme in tutti i suoi punti. L’umidità interna e la temperatura, iniziano lo scioglimento di un tipo di connettivo e lo trasformano gelatina, incrementando sia il sapore, sia la succulenza ma soprattutto la morbidezza. Quando la temperatura raggiunge la soglia prevista, arriva il momento della cauterizzazione velocissima sul calore diretto, fino al raggiungimento del grado di cottura desiderato (55°C almeno) ma non prima di averla perfettamente asciugata nuovamente e spennellata con un velo di olio. Questo ultimo passaggio, produrrà la reazione di Maillard e ci darà quella ricercata, profumata e saporita crosta di cauterizzazione.

Il risultato è una bistecca estremamente saporita e profumata, con una superficie perfettamente cauterizzata e l’interno perfettamente cotto e tenero all’inverosimile.

Altro breve riassunto: Per mantenere succulenza è quindi necessario diminuire il calore, aumentare i tempi di cottura e creare un ambiente umido.

Smoky=Fumo=Aria

Il terzo e ultimo parametro che rappresenta il valore aggiunto insostituibile e non replicabile con altri metodi di cottura è l’irresistibile sentore di affumicato. O smoky flavour, come lo chiamano oltreoceano.

Nel grilling esistono due modi di generare il fumo, che poi è l’elemento che dà il carattere aromatico tipico.

Il primo modo è lasciare che i liquidi della carne, quindi grassi e umori, cadano sulle braci. Questi liquidi, a contatto con le braci roventi o con le barre aromatizzanti, si vaporizzano istantaneamente passando dallo stato liquido a quello gassoso. Questo gas, questo fumo misto a vapore, è chiaramente molto più caldo rispetto all’aria circostante, ha quindi una densità diversa, per cui, grazie alla spinta di Archimede, risale verso l’alto investendo la griglia e aromatizzando la carne.

Ricordiamo la spinta di Archimede? Un corpo immerso in un fluido riceve una spinta dal basso verso l’alto pari al peso del volume di fluido spostato.

I liquidi in caduta, dunque, si vaporizzano mentre i grassi bruciano. Questo fumo misto a vapore, essendo meno denso dell’aria circostante (più fredda, o meglio meno calda) risale verso l’alto e investe il cibo, profumandolo.

Il secondo modo di generare fumo è quello di utilizzare pezzettini di legno aromatico e farli bruciare in combustione incompleta, cioè senza fiamma. Questo è possibile semplicemente limitando la presenza di ossigeno all’interno della camera di combustione. In poche parole usando un coperchio e lasciando solo qualche spiffero per lasciare entrare un po’ di ossigeno, quel tanto che basta a mantenere accese le braci e quel tanto che non basta a far scaturire una combustione.

A questo punto, la vera difficoltà consiste nel capire “quanto” fumo vogliamo o non vogliamo generare. Una buona regola di partenza dice che troppo fumo, oltre ad essere nocivo, cambia il sapore del cibo, appiattendolo al tipico odore di posacenere bagnato. Nel dubbio, meglio poco.

Pensiamo quindi alle conseguenze prima di sdraiare qualche chilo di pancettone di maiale sul calore diretto e lasciare che una colonna di fumo bianco profumi la nostra grigliata. Basta qualche sbuffetto di fumo per dare il tipo sentore di grill. Che si ottenga dai liquidi diretti in caduta o tramite l’utilizzo di chips di legno aromatico per affumicare, l’importante è che sia equilibrato. Ricordate questa: il fumo dev’essere solo UNO DEGLI ingredienti del piatto. Troppo fumo devasterà il sapore di tutto ciò che andrete a cucinare.

Ripasso:  per ottenere lo smoky flavour possiamo sfruttare i liquidi in caduta dagli alimenti o possiamo aggiungere delle chip di legno aromatico adatte allo scopo. Ciò che è importante è limitare la quantità di fumo in modo che la nota affumicata sia presente, ma risulti gradevole e non invadente.

In sintesi

Siamo quasi riusciti ad arrivare alla fine del post, è il momento di fare una sintesi generale che diventerà la nostra filosofia nell’approccio al Grilling.

I tre elementi che caratterizzano il grilling perfetto di alto profilo sono crosta, succulenza e aroma di affumicato.

Per ottenere la crosta è necessario creare le condizioni ideali per far partire la reazione di Maillard, quella rezione secondo cui aminoacidi e particolari tipi di zuccheri, quando sottoposti a calore intenso, reagiscono tra di loro creando delle nuove molecole, profumatissime e dal sapore intenso, che non esistono in natura. Per avvenire, la reazione di Maillard non può prescindere dalla temperatura superiore ai 150°C e dall’assenza di umidità.

Per ottenere succulenza, è necessario che i tempi di cottura, al contrario di quelli di cauterizzazione, siano lunghi, che le temperature di esercizio siano molto basse (cioè non superiori ai 110°C) e che vi sia presenza di umidità. Se queste condizioni si verificano correttamente, parte del collagene contenuto della carne si scioglierà in gelatina e la contrazione muscolare sarà molto limitata. Per questo motivo, la ritenzione dei liquidi interni sarà nettamente superiore.

Ultimo ma non ultimo, per ottenere l’aroma di affumicato possiamo lasciare che i liquidi in caduta sulle braci o sui bruciatori roventi si vaporizzino e risalgano al cibo in forma di fumo misto a vapore, o possiamo utilizzare chips di legno aromatico lasciate bruciare senza fiamma (cioè in un ambiente povero d’ossigeno). Questo fumo deve rappresentare solo uno degli ingredienti del piatto, non deve risultare invadente o coprente e non deve diventare il protagonista in grado di appiattire tutti i sapori e uniformarli all’odore di brace spenta e bagnata.

Adesso comincerà ad esservi chiaro il motivo per cui abbiamo sempre predicato di avere un dispositivo con griglie in ghisa e coperchio, di comprare un paio di termometri (uno per il cibo e uno per il grill), tenere sempre in casa un paio di sacchetti di chips di legno aromatico, dotarvi di carbonella e bricchetti di qualità e soprattutto, diventare dei profondi conoscitori della griglia, del fuoco, dell’aria e dell’acqua.

Non c’è altro da sapere, non ci sono segreti, non ci sono Maestri che possano -a questo punto- saperne più di voi. Casomai esistono persone che sanno queste cose da molto più tempo e soprattutto le mettono sempre in pratica.

Il mio consiglio, in griglia e non solo, è di rispettare questi “mantra”. Di provare, di fare esperienza e di tornare qui eventualmente a fare tutte le domande di cui avete bisogno. Troverete sempre qualcuno pronto a rispondervi.

Avete la passione, avete i dispositivi, adesso avete anche la conoscenza. Non vi resta che aggiungere l’esperienza e diventare dei grandissimi del barbecue.

Grill to perfection ovviamente continua, ma in attesa del prossimo post dove, una volta e per tutte, impareremo a stabilizzare le temperature sul barbecue, ho bisogno del vostro commento, delle vostre domande e del vostro feedback.

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