– Diamine, non ne fanno più di canzoni così.
– Fottutamente anni ’80, il miglior rock di sempre.
– Ci puoi scommettere. I Guns N’ Roses regnavano. Come i Motley Crue.
– E i Def Leppard!
– Poi è arrivato quel frocetto di Kurt Cobain e ha rovinato tutto.
– Come se ci fosse qualcosa di sbagliato nel volersi divertire.
– Devo confessartelo, odio i fottuti anni ’90.
– Assolutamente, gli anni ’90 fanno schifo.

Non so se i ragazzi del Birrificio Lambrate approverebbero questa citazione da The Wrestler – e il relativo scambio di battute tra Mickey Rourke e Marisa Tomei – per descrivere la loro proposta, però ogni volta che vado a bermi un pinta da loro (OK, tre pinte) assaporo un clima così hard rock che non riesco a non pensare al film di Darren Aronofsky.

A proposito di anni ’90: nel 1996 Fabio Brocca, Giampaolo e Davide Sangiorgi cominciano a produrre due birre e a venderle in un locale della Milano più proletaria, in via Adelchi, aperto a giorni alterni. Siamo agli albori del movimento artigianale: i produttori si contano sulle dita di una mano monca, sicuramente c’è Baladin in Piemonte e Turbacci verso Roma.

Oggi tutti bevono e parlano di birre artigianali, ma da queste parti si respira ancora lo spirito e l’autenticità degli albori. Non una cosa da poco, in un settore che, anche in virtù dei prezzi, mi pare posizionarsi troppo lontano dalle biografie e dalle passioni degli uomini che lo hanno animato. Si assiste a un paradosso: il mercato della birra cresce, soprattutto qualitativamente, ma il suo luogo deputato – il pub – almeno nel suo modello classico, entra in crisi. Una crisi solo apparente: i pub non piacciono ai nuovi individui metropolitani. Sono ampi, legnosi e rumorosi, sinistramente virili, negano l’eleganza minimale e fintopovera che ha investito il design di tutta la nuova ristorazione. Non se ne aprono moltissimi, ma quelli che ci sono sono spesso pieni, amati e frequentati. Raccolgono molta umanità vera. O quella che io considero tale.

Il Birrificio Lambrate Golgi, aperto nel 2011, è un pub vero, non ne nega le linee, le dinamiche e la composizione sociale.

Non significa che è anacronistico, anzi è avveduto, capace di fare leva su un brand conosciuto e rispettato. Per chi come il sottoscritto ha 40 anni e ha speso almeno 10 anni in posti come questi, prima di finire inevitabilmente nella centrifuga della modernità soprattutto per questioni professionali, è ritemprante. Non è passatismo o nostalgia spicciola, piuttosto voglia di concretezza.

La sala è rodatissima e i patti chiari: se non mangiate vi accomodate all’ampio bancone, ai tavoli bar o nell’area esterna per abbeverarvi in quantità illegali, ma nell’area ristorante si mangia (discretamente) fino alle 23.

Nonostante il pieno e un certo caos coinvolgente, i piatti arrivano rapidi e senza problemi. Affondare le mascelle nelle costine di maiale di cinta senese è atto di laida soddisfazione. Il morso è saturo e selvaggio, si combina perfettamente con l’ambiente. La cottura non fa gridare al miracolo: il collagene si fa sentire e di conseguenza manca un po’ di morbidezza, ma ci si adatta senza patemi d’animo. D’altronde la protagonista è la birra, sempre spillata perfettamente. Il livello medio è sempre alto, la proposta molto varia, anche troppo.

Il caldo orrendo suggerisce – almeno a me – sorsi compulsivi e difficilmente vado a cercare gloria lontano da Golden Ale, Pils e altri piccoli mostri di beva. Spartani i contorni (le verdure grigliate sono tagliate a mano da qualcuno con poco amore per la geometria), dominati dal piatto che non va mai sbagliato: le patate al forno. Sono unte, ben cotte, speziate il giusto.

Ci siamo, sorrido.

Alle 23 scatta l’ora x: il pub entra in modalità hard rock. È il definitivo tuffo nel passato, ma senza la nube del fumo di una volta. Qualcuno rimpiange anche quella, forse perché ricorda poco il colore degli occhi e il puzzo degli abiti al ritorno a casa. Highway to Hell degli Ac/Dc, Sweet Child O’ Mine dei Guns N’ Roses e Paranoid dei Black Sabbath vengono sparate a volume importante.

Vi urta? Siete nel posto sbagliato.

Lo eravate anche qualche minuto prima, quando il caos uditivo era il medesimo, ma non usciva dalle chitarre ferrose old school quanto dal chiacchiericcio imponente tra i tavoli.

Avete ancora fame? I fritti fanno il loro, ma sono dimenticabili, mentre l’hamburger è un gioioso manifesto di antigurmettismo. La coerenza al format non è però sufficiente a nobilitarlo. La cottura è rivedibile e il taglio non particolarmente azzeccato; sfama, regala qualche picco di gusto, prima che i succhi si disperdano eccessivamente, e ti prepara alla prossima birra. L’ultima della serata.

Game, set and match

[Crediti | Link: Birrificio Lambrate | Immagini: Birrificio Lambrate]