La prima volta che sono stata  all’Osteria “da Benito”, avrò avuto più o meno dieci anni e di quell’esperienza  ricordo solo che tutta la mia famiglia uscì  soddisfatta. Fino a poco tempo fa “da Benito”, conosciuto qui in zona anche solo come “Benito”, era per me un’esperienza fatta da bambina della quale avevo rimosso quasi tutto, finché non ho cominciato a sentirne parlare anche da persone “forestiere”: liguri, veneti, milanesi. E sono rimasta abbastanza stupita.

Per capire il mio stupore, tocca fare una precisazione e dare qualche nozione storica e geografica: se non siete mai stati a Orentano (provincia di Pisa), luogo in cui si trova l’Osteria da Benito, è giusto che sappiate che della Toscana che vi aspettate voi “stranieri” quel posto non ha niente. Niente. Nessuna collina verde, nessun cipressetto, nessun oliveto caratteristico. Solo pianura,di origine paludosa. In quei luoghi era presente il più grande lago della Toscana, il lago di Bientina, che venne prosciugato nel 1859 per consentire lo sfruttamento agricolo del territorio. Di quel lago rimane il ricordo effimero ogni volta che piove in maniera abbondante, poiché quelle zone si trasformano in una vera e propria palude.

Non è un bel posto.

bientinese

Qualche estate fa, oltretutto, queste zone furono tristemente famose perché dal terreno concimato esalavano fumi malodoranti.

Di questi posti (e dei paesi limitrofi, come Bientina e Buti) parlò anche il Carducci, con parole non proprio lusinghiere:

Brutto borgo è Buti: a valle
Tra le rocce grige e ignude
Il Riomagno brontolando
Va di Bientina al palude

Avrete quindi capito il perché della mia reazione sorpresa nello scoprire quanto fosse famoso “Benito”:  non è esattamente il luogo in cui ti aspetti di trovare turisti. Tantomeno l’osteria è il posticino caratteristico che, visto da fuori, ti invita ad entrare carico di aspettative.

Onestamente, sembra un circolo Arci: a parte un’insegna sull’esterno, non c’è niente di accattivante o particolarmente colorato all’ingresso; per trovarlo devi farci attenzione. Entri e sulla sinitstra vedi il braciere in muratura, su cui campeggia la scritta “dal 1987”. E fermi a quell’anno sono rimasti: i tavolini sono apparecchiati in modo spartano, con le tovaglie a quadretti e i fiaschi di vino con la paglia. A prima vista sembra proprio uno di quei posti un po’ sfigati in cui non entra mai nessuno, se non qualche anziano cliente del luogo.

Il cameriere ti fa accomodare e a quel punto ti accorgi, però, che pur essendo un tranquillo giovedì (siamo andati per l’ora di pranzo, circa le 12.30) tutti i tavoli sono prenotati. Infatti di lì a poco il locale si riempirà, smentendo in modo clamoroso l’etichetta di sfigato che, in modo frettoloso e cedendo forse a uno atteggiamento troppo snob, gli avevo affibbiato. Mea culpa.

Ed è così, in un tranquillo giovedì di agosto e  in un luogo lontano anni luce dal turismo fighetto della Toscana, che inizia la mia esperienza da Benito, insieme ad un’amica che mi accompagna.

Non esiste un menù. E’ il cameriere che ti elenca quello che puoi ordinare:

  • Antipasto misto toscano (crostini e salumi misti)
  • Spaghetti piccanti
  • tordelli lucchesi al sugo di pomodoro
  • paccheri al ragù di carne
  • zuppa pisana di cavolo nero
  • rosticciana
  • salsicce
  • bistecca
  • bistecche di maiale

Scegliamo di saltare l’antipasto (con nostro rammarico perché i crostini al patè di fegatini sembravano invitanti) e optiamo per due primi: spaghetti piccanti e tordelli lucchesi (sì, tordelli con la d, un tipo di pasta ripiena di carne che può avere forma tonda, a mezzaluna o quadrata, che assomiglia al raviolo) al sugo di pomodoro.

spaghetti

Sul tavolo un cestino di focaccia fresca ci tenta e noi cediamo alla tentazione, ingannando così l’attesa.

In realtà non dobiamo aspettare troppo, nel giro di qualche minuto arrivano i nostri primi. Gli spaghetti sono al dente, conditi generosamente con un sugo al pomodoro piccante decisamente buono. Il sugo è genuino, saporito, rustico, corposo. L’informalità del luogo mi spinge a fare ciò che il galateo, in posti meno alla mano, mi vieterebbe: la scarpetta. Vale lo stesso per i tordelli, che presentano un condimento simile ma non piccante: cottura perfetta, sapore appagante, scarpetta finale.

Dopo aver mangiato i primi, capisco quindi perché i miei nonni, tanti anni fa, uscirono dal locale contenti: le porzioni sono abbondanti, non quelle due forchettate al centro di piatti enormi nei locali alla moda, e i sapori sono esattamente quelli che ti aspetti quando entri in un’osteria toscana. Sono casalinghi, sono genuini: se cercate la ricercatezza di sapori audaci non è queso il posto adatto. Ma se volete veramente mangiare toscano come si mangia da secoli qui da noi, siete nel luogo giusto.

Finito il primo, attendiamo un quarto d’ora e arriva la bistecca.

bistecca

E’ presentata così: bistecca. Senza tanti fronzoli o cerimonie. Al momento dell’ordinazione non ti viene chiesta la cottura, perché danno per scontato che tu la voglia al sangue. Se desideri una cottura diversa, devi specificarlo tu al cameriere: noi scegliamo di non dire nulla e lasciamo fare a loro. All’arrivo la bistecca si presenta benissimo: già tagliata in un piatto di portata, su cui è adagiato anche l’osso per permettere ai commensali più intraprendenti di azzannarlo senza pietà.

E’ alta tre dita (le mie dita, quindi circa 5/6 cm), ma vi assicuro che non è carpaccio.

All’interno è al sangue, ma non fredda. La crosticina esterna è ben formata e croccantina. L’evidente sfumatura dal grigio al rosa intenso fa pensare a una cottura tradizionale (come saprete, cuocerla dopo ore di reverse searing rende il colore interno molto più omogeneo).

Tuttavia al taglio si presenta morbida, lo stesso si può dire alla masticazione. Sono quasi del tutto assenti i fastidiosi pezzi di tessuto connettivo che spesso rovinano il momento della degustazione quando si mangia una bistecca. Il sapore è buono, la carne è sufficientemente succosa. La crosticina forse un po’ amarognola, ma nell’insieme non risulta sgradevole. Il sapore NON è ferroso.

Non sentiamo il bisogno di condirla con l’olio e il sale che ci hanno portato. La sapidità è giusta.

La mangiamo quasi tutta, poi ci arrendiamo alla sazietà. Quando il cameriere viene a ritirare il piatto, approfitto per chiedegli la provenienza della carne. Risponde che lì di solito usano carne francese allevata in Italia, come Limousine o Chevrolet, ma forse voleva dire Charolaise. Non Chianina.

Ci alziamo rinunciando al dolce e al caffè, perché veramente sazie. Ma non solo: appagate, contente. La bistecca non sarà “firmata”, non sarà famosa, non sarà blasonata né citata nelle riviste ma è buona: cotta in modo tradizionale, quindi i puristi saranno felici (anche se non è di chianina), ma onestamente è una delle migliori bistecche che abbia mai mangiato in un’osteria toscana. Ne ho mangiate di migliori? Certamente. Ma credetemi, ne ho mangiato di ben peggiori in posti molto più promettenti di questo.

Non vi aspettate particolari contorni: solo insalata o fagioli cannellini lessati e conditi con olio sale e pepe.

Il prezzo è di 25 euro a testa

(ma solo durante la settimana il menu è a prezzo fisso, nel weekend si paga alla carta).

Concludendo, come ho già avuto modo di scrivere altrove, è sempre e solo un discorso di aspettative: Benito ti dà molto di più di quello che entrando ti aspetti. E lo fa senza strizzare l’occhio al turista, senza cercare di compiacerlo o di stupirlo con effetti speciali. Rappresenta la vera Toscana e i suoi abitanti: schietti, spietatamente sinceri, alla mano, crudi come Ceccherini nei film di Pieraccioni. Non a tutti può piacere questa voluta ricercatezza della sostanza senza dare alcun peso -o quasi-alla forma. Andate altrove se cercate i salamelecchi, la clientela chic, la bella gente che fa cose, incontra persone, stringe relazioni. Qui troverete le famiglie con i bambini e i nonni che parlano solo in vernacolo, le signore anziane con la messa in piega appena fatta dalla parrucchiera sotto casa che ancora usa i bigodini, gli amici di una vita che si divertono a fa’ le bischerate, le buone forchette che vogliono il piatto pieno e inorridiscono di fronte ai menu di assaggio.

Non ci sono vie di mezzo con “Benito”. O lo amate o lo odiate. Ma se volete dire di sapere davvero come si mangia in Toscana, questo è uno dei posti in cui dovete assolutamente andare.